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Discriminazione nello Sport
Ieri...

Negli anni '30, i regimi nazista e fascista in Germania e in Italia usarono lo sport come arma di propaganda per ottenere il consenso dell'opinione pubblica e come mezzo per mostrare la superiorità della cosiddetta "razza ariana”. Le norme razziste di questi regimi totalitari hanno successivamente devastato il mondo dello sport, escludendo i cittadini ebrei dalla formazione professionale e amatoriale in club e competizioni. Alla discriminazione legislativa, è seguita anche la persecuzione degli atleti più noti. Molti, che fino a pochi anni prima, con le loro gesta sportive, entusiasmavano milioni di appassionati, furono deportati nei campi di sterminio, da cui quasi sempre non facevano ritorno.


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Dall'ascesa al potere di Hitler nel 1933, il regime nazista in Germania ha emanato direttive sul razzismo che hanno portato all'espulsione dei "non ariani" dalle associazioni sportive, infatti sono esclusi dalle manifestazioni agonistiche e dalle selezioni nazionali di varie discipline. Insieme con la discriminazione, il governo nazista ha promosso attivamente lo sviluppo sportivo dei "suoi" giovani. Lo sport razzista e la propaganda divennero un binomio inscindibile e il culmine di questa alleanza furono le Olimpiadi di Berlino del 1936, un evento che avrebbe dovuto celebrare la fratellanza umana sotto le bandiere dello sport. Il governo nazista aveva un'atleta ebrea, Helene Mayer, che gareggiava nella squadra di scherma, così come l'ebreo Theodor Lewald, ex membro del Comitato olimpico tedeschi. Le Olimpiadi si svolgono regolarmente, in un clima di speciale amicizia tra i popoli, in cui, per volere del governo, tutte le proteste antisemite nelle piazze e nei media sono state temporaneamente sospese.


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Le Olimpiadi sono state un innegabile successo propagandistico per Hitler, che ha saputo mostrare al mondo, grazie alla fotografia della regista Leni Riefensthal, uno spettacolo curato nei minimi dettagli per onorare la nuova Germania nazista. Tuttavia, i Giochi di Berlino sono passati alla storia soprattutto per la vittoria di un atleta afroamericano, Jesse Owens, che ha dimostrato che i presupposti ideologici riguardanti qualsiasi superiorità di una “razza” rispetto ad un’altra fossero assolutamente falsi.


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La svolta avvenne alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968. Non passò alla storia per i successi sportivi, ma per la discriminazione razziale di due velocisti afroamericani, Tommy Smith e John Carlos, che per protesta salirono sul podio. Alla cerimonia di premiazione dei 200m il primo ha alzato il pugno, lo ha chiuso e ha indossato guanti neri.

È per questo che le loro carriere sono state gravemente colpite, ma il loro resta ancora uno dei gesti-simbolo più importanti nella storia dello sport moderno